Non si crea mai niente che non esista già.

La “creazione”, in senso poetico come in chimica, è trasformazione.

mercoledì 24 aprile 2013

Il cestino della nonna diventa fioriera

Recupero vecchio cestino da lavoro con c decoupage.
“Sono andato in camera e mi sono seduto vicino alla nonna. Sono rimasto a osservarla. Mi sono venute in mente molte cose. Che belle merende che ho fatto a casa sua: pane e nutella, budini, pane burro e marmellata, girelle, succhi di frutta. Lei, che da bambina ha sofferto la fame, rimediava con me. Si portava il sacchetto con le cose da mangiare e il succo di frutta per me anche quando andavamo al cinema il pomeriggio. Per lei era anche importante sapere che cosa volevo mangiare. Fino a qualche anno fa, quando stava ancora bene, se andavo a trovarla il fine settimana, appena finivo di mangiare mi chiedeva subito cosa volevo la settimana dopo.
“Nonna adesso sono pieno e poi è settimana prossima, come faccio a saperlo?”
“Allora ti faccio un bel piatto di pasta, e magari delle polpette.”
Dopo pranzo, quando ero piccolo, stavo spesso da lei perché mia madre lavorava. Ricordo che facevo i compiti seduto a tavola mentre mia nonna lavava i piatti o sistemava la casa e poi si metteva sul divano e faceva un piccolo riposo. Quando si svegliava la battuta era ormai diventata d’obbligo. Apriva gli occhi e faceva un piccolo grido: “… Aaaaahhh, oddio cosa ho fatto!”.
E io: “Cosa hai fatto?”.
“Ho schiacciato… un pisolino.”
Adesso magari non fa ridere, ma quando ero piccolo ridevo sempre. Mi faceva ridere quella cavolata. Come la barzelletta del fantasma formaggino. Non capisco come mai avesse così successo.
“… Sono il fantasma formaggino…”
“… vieni qui che ti spalmo sul panino…”
Boh!
Mi piaceva da morire quando mi chiedeva di infilarle il filo nella cruna dell’ago, perché lei non ci vedeva bene. Mi faceva piacere perché quando si è piccoli sono rare le occasioni di essere utili agli adulti. Se l’avevo vista prima infilarsi il filo in bocca per fare bene la punta, allora lo prendevo dall’altra parte perché mi faceva schifo. A volte il filo aveva un microscopico filino che impediva l’ingresso. Ma con un paio di tentativi riuscivo a infilarlo. Era bello soprattutto vederla rammendare le calze, perché per farlo ci faceva scivolare dentro un uovo di legno.
Aiutavo mia nonna anche quando cucinava i fagiolini e bisognava togliere le punte. Si staccavano con le unghie e si mettevano in una pagina di giornale sul tavolo, poi si buttavano via. Oppure ricordo quando mi faceva stirare i fazzoletti. Mi piaceva arrivare con la punta del ferro da stiro proprio nell’orlo dell’angolo. Sembrava si infilasse un poco sotto. O quando mi chiamava per piegare le lenzuola. Per ridere io le giravo sempre dalla parte opposta alla sua, così invece che piegarsi giuste si avvitavano. Era divertente quando, prima di venirci incontro per piegare l’ultimo giro, lei tirava forte per stenderle bene: io volavo dalla sua parte. Quanto mi ha sopportato e quanto mi ha voluto bene. Me lo ha sempre dimostrato anche con la prova dei piedi. Io mi passavo le dita delle mani tra quelle dei piedi e poi gliele facevo annusare. “Se mi vuoi bene annusi.”
Se si fosse svegliata in quel momento, forse l’avremmo persa per sempre. Io seduto al suo fianco con la faccia distrutta, sai che spavento…”

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